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Rita sorride seduta su una nuvola. E’ arrivata da poco in questo pezzo di cielo baciato dal sole che alcuni chiamano paradiso ed altri, più semplicemente, universo. E’ arrivata da poco, dopo oltre un secolo passato laggiù, in quel piccolo pianeta del sistema solare che i suoi abitanti chiamano Terra. E ripensa ai suoi cari, la sua Torino, l’Università. la laurea, gli studi, il lavoro. Ricorda le leggi razziali, la Guerra. Il trasferimento in America, altri studi, e il Nobel.

Rita-Montalcini

Rita sorride seduta su una nuvola, ma sente un peso nel cuore ogni volta – e succede spesso – che da quel piccolo pianeta chiamato Terra sente l’eco lontana di storie di gente offesa ed insultata solo per aver difeso la ricerca scientifica. Ogni volta che scorge figure confuse di santoni scambiati per scienziati che millantano scoperte mirabolanti facendosi scudo del dolore della gente malata. Ogni volta che l’oscurantismo e l’ignoranza minacciano la scienza, la medicina, il progresso.

Rita sorride, perché sa quanto è dura la strada della conoscenza; quanta fatica, quante battaglie bisogna combattere per conquistarsela, e quante difficoltà s’incontrano. Ma sa anche che “ le difficoltà bisogna scrollarsele di dosso, come l’acqua dalle ali di un’anatra”: ed è questo che rende la vita più facile. Perché è così che ha imparato che è “meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita”.

Rita sorride seduta sopra una nuvola e guarda verso quel piccolo pianeta chiamato Terra; il suo pianeta, dove tutti provano a cercare la felicità ma pochi riescono davvero a capire cosa sia e dove risieda. E sa che non cambierebbe nulla al mondo con la ricerca: per andare un po’ più in là; oltre l’orizzonte, oltre l’ignoto. Combattere la presunzione degli ignoranti che hanno sempre la verità in tasca, confondendo la fede con la superstizione, la scienza con la magia, e la scoperta con il miracolo.

Rita sorride seduta su una nuvola. E sa che “quando muore il corpo sopravvive quello che hai fatto, il messaggio che hai dato”.

Perché Rita Levi Montalcini lo sa – ed ha provato ad insegnarcelo – che cos’è la felicità.

Pubbblicato (anche) su Giornalettismo

Il ministro della salute, Renato Balduzzi, ha proposto di modificare il sistema di cura dei bambini italiani. In soldoni, fino a 7 anni sarebbero curati dal pediatra, mentre dopo dovrebbero passare al medico di famiglia. I pediatri sono in rivolta. E già si parla di un governo che “abbandonerebbe i bambini”, sostenendo anzi che i pediatri in Italia sarebbero pochi.

Le statistiche dicono che in Italia ci sono oltre 14 mila pediatri per 8 milioni di bambini, in Germania ce ne sono meno di 7 mila per 12 milioni, in Gran Bretagna meno di 5 mila per 9 milioni. L’organizzazione dell’assistenza sanitaria di base in Europa oscilla tra varie forme (solo pediatra, solo medico generico, mista), ma solo nel 18% dei paesi europei la cura di base dei bambini dopo i 7 anni è affidata esclusivamente ad un pediatra. E in quei Paesi la salute dei bambini è tutelata come da noi.

Attenzione: questo non significa che il nostro sistema sia per forza peggiore di quello tedesco e inglese. Ma il problema è un altro: il solito – italianissimo – modo di affrontare qualsiasi questione è di urlare a difesa di un interesse generale (quello della salute infantile lo è di sicuro) per mascherare una più modesta difesa – legittima – di una categoria.

Così, il dibattito – che dovrebbe essere sereno e scientifico – sull’organizzazione del sistema sanitario per le cure dell’infanzia finisce in caciara, tralasciando le questioni vere (popolazione infantile attuale e futura, efficacia assitenziale nel territorio o in ospedale, distribuzione dei pediatri nelle regioni, ecc…) e trasformandosi in una guerra santa. Dalla fine purtroppo prevedibile: una marcia indietro, al grido “aridatece er pediatra” di mamme e papà inferociti.

Già si sentono, basta aprire la finestra.

Pubblicato (anche) su Giornalettismo

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