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La Sanità italiana, come accade puntualmente ad ogni manovra finanziaria, sarà chiamata a pagare un conto salato nell’affannosa ricerca dei famosi 20 miliardi di euro di Renzi. Nel consueto gioco delle parti, le Regioni strillano, mentre i media grondano di esempi sulle differenze di prezzo di protesi, garze e attrezzi chirurgici tra Milano e Rovigo o tra Napoli e Pescara. Chi ha ragione?

tagli-sanita

Ognuno la vede come vuole. Un fatto è che, dati Ocse alla mano, la Sanità italiana è tra le meno costose del mondo, tra le migliori per prestazioni offerte e il suo “peso” sul Pil è sotto la media. Un fatto è che appena un mese fa il Governo Renzi ha sottoscritto con le Regioni il Patto per la Salute, che prevede che i risparmi in Sanità dei prossimi tre anni debbano essere reinvestiti in Sanità. Un fatto è che la media italiana comprende punti di eccellenza in alcune regioni, non solo del nord, e punti di criticità in altre, non solo del sud, e che i tagli all’ammontare generale che si fanno da anni non hanno minimamente scalfito questo stato di cose. E allora, chi ha ragione?

Ognuno la vede come vuole. Dei fatti poi, a chi volete che importi? Finirà come ampiamente previsto: la Sanità italiana continuerà ad avere un buon livello medio, con differenze anche notevoli in efficienza tra aree geografiche e anche all’interno dei singoli territori, Non cambierà niente, allora?

Certo che cambierà: continueremo a chiamarla Sanità, solo che la pagheremo sempre più di tasca nostra (è un altro fatto: il costante aumento della spesa privata e la riduzione dell’offerta “pubblica”), fino a che il Servizio Sanitario nazionale diventerà un lontano ricordo. E a pagarne le spese saranno i ceti medi. Cioè la maggior parte di noi. E chissà che verrà dopo; o, se preferite, what comes neXt.

Pubblicato (anche) su neXt quotidiano

Camicia bianca per tutti: Matteo Renzi, Manuel Valls (primo ministro francese), Pedro Sanchez (leader del Psoe spagnolo) e il vice premier olandese, Diederik Samson. Assieme sul palco della festa dell’Unità di Bologna, i leader emergenti della sinistra europea.

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Bene! Qualche spruzzata di gioventù, nella paludata politica europea, specie in quella di sinistra, ci voleva. Ben venga il cambio di look, e ben venga anche il patto del Tortellino, immortalato dalle foto intrise di candore per le magnifiche sorti e progressive della sinistra che verrà. E pazienza se i duri e puri della nostalgica sinistra che fu storceranno il naso. Meglio la camicia bianca Obama style che il camice bianco di dottori al capezzale del malato progressismo con le facce tristi e un po’ vecchie di D’Alema, Shulz e chissà chi altro.

Solo un dubbio: il rinnovamento del look è anche un vero (e benefico!) rinnovamento degli ideali di una sinistra europea che, dopo il crollo (benefico?) delle ideologie si trova da tanto, troppo tempo a corto di idee, anche solo decenti. Oppure è più semplicemente la resa – più o meno incondizionata – al dio del marketing, ché tanto delle idee ormai non frega più nulla a molti (tendenti al nessuno)?.

Sul ponte sventola camicia bianca. E chissa che verrà dopo; o, se preferite, what comes neXt.

Pubblicato (anche) su neXt quotidiano

In questi giorni di spending review, in Italia c’è una categoria professionale che sta per ricevere un consistente regalo dal Governo Renzi. Non è il ceto medio falcidiato dalla crisi, né i cassintegrati alle prese con le bollette da pagare e neppure le famiglie con i redditi bassi. Si tratta degli avvocati.

avvocati

Il neo ministro della Giustizia Andrea Orlando ha iniziato infatti il suo mandato firmando un decreto – fermo da più di un anno – che aggiorna i parametri forensi, cioè i valori di riferimento per la liquidazione da parte del giudice dei compensi dei legali o per la loro determinazione in caso di disaccordo tra avvocato e cliente. Una “spending review” all’incontrario: aumenti medi del 50 per cento, con punte del 165 per cento, che cancellano il precedente decreto, il n.140/2012. Un bel regalo che fa felici il Consiglio nazionale forense, l’Ordine professionale e la nutritissima schiera dei parlamentari che svolgono questa professione.

Il decreto è in corso di pubblicazione sulla gazzetta Ufficiale. Nel frattempo, invitiamo tutti i cittadini italiani – che se dovranno ricorrere ad un avvocato avranno la sgradevole sorpresa di doverlo pagare molto più di prima – a fare i complimenti al neo ministro Orlando, al presidente del Consiglio Renzi, al governo tutto per la solerzia. Auspicando analoga velocità nella soluzione dei problemi di altri soggetti: giovani precari, cassa integrati, operai, impiegati.

Soggetti però che – purtroppo per loro –  in Parlamento non sono altrettanto adeguatamente rappresentati.

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Caro CasalGrillo, lasciamo stare il tradimento della volontà dei tuoi iscritti, che è sotto gli occhi di tutti; e anche l’ennesima occasione mancata per stanare il “potere cinico e baro” con proposte tanto più imbarazzanti quanto più incalzanti. E anche che hai trovato un altro modo per spaccare il tuo movimento, facendo un favore agli altri; contento tu…

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Caro CasalGrillo, dai pochi istanti di show, una cosa è inequivocabile: il non voler dialogare con nessuno a prescindere. “Non avevo una scaletta di cose perché non mi interessa colloquiare democraticamente con un sistema che voglio eliminare”; neanche per un minuto. Certo ti rendi conto che così non ti siederai mai e con nessuno ad un tavolo “democratico”: i “sistemi” si eliminano raramente con le carezze o con i voti. E’ un giochino che ti permetterà di tenere ancora per un po’ i tuoi elettori a bagnomaria, fino a che o si stancheranno di te o si stancheranno della democrazia.

Caro CasalGrillo, dammi solo un minuto: getta sul tavolo a brutto muso le istanze del tuo movimento, e tratta. Colloquiare con il Potere è faticoso, sporco e difficile; come giocare in trasferta con un arbitro a sfavore e le regole contro. Ma è l’unica maniera per cambiare le cose. E’ già accaduto, non è impossibile: basta aver voglia e capacità di farlo.

Caro CasalGrillo, stai scherzando con il fuoco. Ma ricordati che a bruciare sarà il Paese. Ci vorrà un minuto, se continui a buttarci benzina.

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Mentre sull’Italia calano le ultime ombre di questa lunga notte che sembra non finire, mentre scende la pioggia – anzi, la grandine – della crisi, della disoccupazione, del default, cosa s’inventa il CasalGrillo? Chiede di tornare a votare con la legge “confezionata” dalla Consulta, il proporzionale puro con unico voto di preferenza.

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Idea geniale, che spingerebbe all’ennesimo parlamento senza maggioranza che – a meno di un’improbabile conversione grillina a scelte di alleanza per governare assieme ad altre forze – riproporrebbe tale e quale la situazione attuale. L’unico risultato, a parte la propria autoconservazione e il ri-congelamento di milioni di voti alla sterile opposizione degli scontrini e del latrato senza costrutto, sarebbe rimettere definitivamente in gioco Berlusconi, che una giustizia lentissima e un Pd incapace di affondarlo (almeno fino ad oggi) potrebbero far tornare in auge, almeno come king maker se non come protagonista diretto.

E immaginiamo cosa accadrebbe: altri mesi senza scelte (come gli ultimi due anni), un parlamento praticamente paralizzato, un Paese allo sbando, l’attacco speculativo e chissà cos’altro. Il caos, insomma.

Che ad un miliardario di Nervi – al pari di buona parte della nostra classe politica, a cui purtroppo sta somigliando sempre più – non gliene freghi nulla del nostro destino può starci.

Che non freghi nulla neanche a noi, un po’ meno.

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Rimpasto significa “rimaneggiamento, rifacimento, ricomposizione”. In politica significa “mutamento parziale della composizione di un governo attraverso  scambio o sostituzione di ministri e sottosegretari, senza crisi governativa”. E’ una parola che sta diventando di moda, affiancandone un’altra che abbiamo sentito spesso: stabilità. Con la quale si indica, intuitivamente, l’essere fermo, solido, durevole, costante, inalterato nel tempo e nello spazio di un sistema dinamico.

rimpasto

Andiamo scrivendo, da tempo, che un Paese tanto malato, com’è l’Italia, ha bisogno di cambiamenti. Eppure, stabilità e, adesso, rimpasto restano due parole affascinanti, anzi le preferite dalla nostra classe dirigente; ora persino molti “renziani” – che del cambiamento dovrebbero essere i naturali sponsor – cominciano ad affezionarsi almeno alla seconda.

La stabilità – l’abbiamo scritto più volte – è perniciosa, con buona pace di Letta e di Napolitano; ma il rimpasto è forse peggio: perché, a chi vive nel Paese del Gattopardo, sembra la perfetta sintesi del famoso “bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima”.

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L’unico vero leader di statura mondiale che può vantare l’Europa in questo momento, Mario Draghi, ha detto chiaro tondo che la crisi d’Europa è ancora ben lungi dall’essere finita. Bisognerà che i tanti soloni che si baloccano sull’imminente ripresa dell’Italia si rassegnino; e anche che qualcuno si ricordi che sino a quando Big Mario terrà i tassi bassi, un Paese come il nostro, con un debito grande come una casa, non potrà che essergliene grato, ma che anche questo non durerà all’infinito.

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Nel frattempo, continuiamo a sperare (certo, non ancora per molto) che chi deve prendere decisioni – il governo e la sua maggioranza – si svegli: l’annunciata abbuffata di riunioni e le tante proposte generiche saranno buone (forse) per le campagne elettorali, ma non risolvono un problema che è uno. Quanto ai latrati delle peggiori opposizioni della storia repubblicana (senza distinzioni di sigla, dal 5stelle alla Lega, passando per Forza Italia), anch’essi fanno disperare per l’assenza di un anche minimo accenno di proposta che non siano boutade come l’uscita dall’Euro.

Mentre la base produttiva italiana si sgretola, i livelli occupazionali sono oltre il livello di guardia, e la coesione sociale è ad un passo dal disintegrarsi, ci si può distrarre con il cognome delle madri ai figli o la legalizzazione delle cannabis; temi certo importanti, ma che varranno poco se non riusciremo prima a sopravvivere.

O forse siamo semplicemente già rassegnati al (non ineluttabile) declino.

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Alzi la mano chi crede che il nuovo redditometro stanerà i tanti finti poveri che girano in Ferrari, riportando un po’ di equità fiscale in Italia. Oppure chi pensa davvero che il decreto legge sul reato di incendio dei rifiuti farà cessare il fenomeno degli sversamenti illegali e degli incendi tossici in aree del Paese controllate dalla criminalità organizzata.

Parole

Sono solo due esempi recentissimi, ma che mostrano, una volta di più, il volto triste dell’inverno italiano. Non è chiaro se sia una caratteristica strutturale della nostra indole o il frutto della confusione dei tempi. Ma sembra che ci ostiniamo a non voler capire che è meglio fare poche leggi ed essere capaci di attuarle veramente che farne mille – fossero anche tutte sacrosante – e non essere capaci di attuarne neppure una.

Non si tratta di fare il processo alle intenzioni a nessuno; solo sperare che l’irresistibile leggerezza degli infiniti annunci lasci spazio alla noiosa realizzazione di pochi (e significativi) fatti.

La primavera, intanto, tarda ad arrivare.

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“Dobbiamo alle nostre opinioni pubbliche e ai nostri cittadini delle risposte su temi concreti” soprattutto su “crescita e occupazione”. Letta dixit. Pronti? Via! Come cittadino, faccio solo qualche esempio delle prime cose che mi vengono in mente, senza scomodare le cose più grosse.

 Enrico-Letta

Uno: tagliamo “i costi degli organi legislativi elettivi a livello nazionale, regionale, e provinciale”, riducendo il numero degli eletti, tagliano le indennità, i vitalizi e le pensioni e i contributi ai partiti e ai gruppi. Stime autorevoli parlano di un miliardo, che si potrebbero destinare alla riduzione (anche simbolica) delle imposte dirette in favore dei soli redditi dipendenti al di sotto dei trentamila euro lordi annui.

Due: istituiamo un “contributo di equità” a carico di chi percepisce pensioni molto elevate e non ha versato contributi adeguati a questo rendimento. Stime autorevoli parlano di un altro miliardo di euro, che si potrebbero destinare ad un aumento (simbolico anche questo) delle pensioni minime.

Tre: aboliamo la maggior parte dei regimi di aiuto nazionali e regionali, con stime variabili, ma ch prudenzialmente dovrebbero essere attorno ai 4 miliardi di euro annui, per finanziare uno sgravio IRAP (un po’ meno simbolico) alle imprese.

Quattro: riduciamo la spesa militare in rapporto al Pil (che è pari a poco meno del 2 per cento) ad un livello vicino a quello della Germania (circa l’1,4 per cento) e usiamo il risparmio – che potrebbe essere circa 2 miliardi di euro – per finanziare un aumento (un po’ più che simbolico) della spesa per la protezione sociale (in Italia il 2,1 per cento del Pil, in Germani oltre il 5 per cento), possibilmente in favore delle giovani generazioni.

Cinque: reintroduciamo in modo “intelligente” i provvedimenti sulla tracciabilità dei pagamenti e sul contrasto all’evasione ed elusione fiscale varati a suo tempo da Visco e Padoa Schioppa, salvaguardando le “piccole elusioni ed evasioni” delle micro imprese (che tanto non farebbero grande gettito), e portiamo tutto quello che si recupera (allora, ficcarono miliardi di euro, il cosiddetto “tesoretto”) a riduzione del carico fiscale Irpef, per tutti i contribuenti.

Si potrebbe continuare, la lista è lunga. Ma come cittadino, già mi accontenterei.

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